Soppressione TAR: il documento presentato da ANMA alla Camera in Commissione Giustizia

Riportiamo qui di seguito lo stralcio del documento ANMA riguardante l’abolizione dei TAR. Per leggere l’intero documento clicca qui.

Abolizione delle otto sedi staccate dei T.A.R.

Art. 18 co. 1

1. A decorrere dal 1° ottobre 2014 sono soppresse le sezioni staccate di tribunale amministrativo regionale, ad eccezione della sezione autonoma per la Provincia di Bolzano. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, da adottare entro il 15 settembre 2014, sono stabilite le modalita’ per il trasferimento del contenzioso pendente presso le sezioni soppresse, nonche’ delle risorse umane e finanziarie, al tribunale amministrativo della relativa regione. Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i ricorsi sono depositati presso la sede centrale del tribunale amministrativo regionale.

 Premessa storico-sistematica.

Nell’esperienza italiana il periodo di massima capillarizzazione degli uffici giudiziari, per quel che concerne la giustizia amministrativa, si è avuto con la istituzione delle Giunte Provinciali Amministrative che operavano su base provinciale con sedi dislocate nel territorio in modo similare agli uffici di Prefettura (R.D. n. 1058/1924).

Dopo un breve periodo – dalla sentenza della Corte Cost. n. 30/1967 con la quale è stata dichiarata la incostituzionalità delle Giunte Provinciali amministrative sino al varo della L. n. 1034/1971 di istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali– di concentrazione di tutte le funzioni giurisdizionali in capo al Consiglio di Stato, la articolazione degli uffici della giustizia amministrativa si è realizzata su base regionale e sub-regionale,con riguardo ad un numero più limitato di contesti territoriali caratterizzati per la maggiore estensione del territorio regionale, e/o del numero di abitanti di ciascuna regione, e/o di altre variabili di ordine più strettamente giuridico, quale il particolarestatus di autonomia di talune fra le Regioni italiane.

La normativa istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali ha senz’altro perseguito le finalità indicate dalla Carta Costituzionale: i magistrati sono assunti esclusivamente per concorso (art. 106, comma 1, Cost.); i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost.); i T.A.R. hanno la giurisdizione per la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi (artt. 103 e 113 Cost.); i magistrati hanno la garanzia della inamovibilità e sono soggetti per la dispensa, la sospensione, la destinazione ad altre sedi o funzioni, all’organo di autogoverno (art. 107 Cost.); la loro indipendenza è assicurata dalla legge che, soltanto, può stabilire le norme sull’ordinamento (art. 108 Cost.).

Unitamente ai citati principi costituzionali, non può sottovalutarsi la rilevanza di quello relativo alla articolazione territoriale della giustizia amministrativa, così come delineato dall’art. 125 Cost. ed applicato dalla recente sentenza della Corte Costituzionale 13 giugno 2014 n. 174.

La verifica della compatibilità costituzionale delle disposizioni normative primarie, infatti, deve essere comparata – laddove si pongano profili di territorialità – con il principio costituzionale della necessaria articolazione territoriale della giustizia amministrativa (art. 125 Cost.).

In tale ambito va sottolineato che le sezioni staccate dei T.A.R. sono appena otto e tutte collocate in grandi centri urbani.

Le sedi di T.A.R. sono quindi solo 28 (20 nei capoluoghi più 8 staccate; fa eccezione la Regione Trentino Alto Adige che ha due T.A.R., Trento e Bolzano). Nulla a che vedere, quindi, con le sezioni distaccate dei Tribunali ordinari e con gli stessi Tribunali di recente soppressi, tutti situati in piccoli centri urbani e, comunque, inseriti in un contesto ordinamentale che prevede più di cento sedi di Tribunale e molte decine di sedi distaccate (oltre ovviamente alle sedi di Corte di appello che sono, comunque, più numerose di quelle di T.A.R. -26 oltre a 3 sedi distaccate).

Storicamente, le sezioni staccate sono state istituite in regioni nelle quali esistevano città ed ambiti territoriali di pari o addirittura maggiore importanza rispetto alla città individuata come capoluogo (es. Pescara in Abruzzo; Reggio Calabria in Calabria) ovvero in contesti territoriali popolosi e caratterizzati da un rilevante contenzioso, tali da indurre il legislatore a prevedere una seconda sede di Tribunale nella Regione.

La legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali esercitò l’opzione offerta dalla Costituzione e previde sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione, denominate sezioni staccate, nelle regioni Lombardia (Brescia), Emilia-Romagna (Parma), Lazio (Latina), Abruzzo (Pescara), Campania (Salerno), Puglia (Lecce), Calabria (Reggio Calabria), Sicilia (Catania). Si tratta di centri urbani popolosi, punto di riferimento di aree assai importanti sul piano socio-economico. Le sezioni staccate corrispondono territorialmente ad una Corte d’appello, ad eccezione di Parma, Pescara e Latina. La sezione di Lecce coincide con la Corte d’appello di Lecce inclusa la sezione distaccata di Corte d’appello di Taranto, mentre la sezione di Catania comprende ben tre distretti di Corti d’appello, ossia Catania, Messina e Caltanissetta (per la provincia di Enna).

Con D.P.R. n. 277/1975 furono stabilite le sedi (già sopraindicate) e le circoscrizioni di tutte le sezioni staccate, tranne che per il Lazio, per il quale si provvide con D.P.R. n. 552/1975.

  I profili relativi al metodo utilizzato: decreto legge e risvolti costituzionali.

Nel delineato assetto costituzionale, l’art. 18 del D.L. n. 90/2014 presenta profili di dubbia costituzionalità, da un lato sotto l’aspetto dello strumento normativo utilizzato (decreto legge) e, dall’altro, sotto l’aspetto del buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.) e del decentramento giurisdizionale (art. 125 Cost.).
a) La possibile violazione dell’art. 77 Cost.

Quanto allo strumento del decreto legge, occorre rilevare che non sussiste alcuna ragione di necessità ed urgenza che renda giustificabile, sotto il profilo costituzionale, l’intervento normativo in oggetto. La stessa relazione illustrativa al decreto legge non individua alcuna motivazione concreta circa l’eliminazione delle Sezioni staccate, se non quella meramente organizzativa che, tuttavia, avrebbe meritato una ben più approfondita indagine in merito all’intero assetto organizzativo dei Tribunali Amministrativi e ad un meditato confronto tra costi e benefici che, come si vedrà nel prosieguo, appaiono confermare la illogicità della scelta di eliminazione delle Sezioni staccate.

D’altra parte occorre anche evidenziare che, per il tramite del decreto legge n. 90/2014, si sono ridisegnati interi settori ordinamentali tra loro profondamente distinti, con evidente commistione di finalità non tutte riconducibili alla necessità ed urgenza.

In tale ambito, occorre ricordare come la Corte Costituzionale abbia individuato – tra gli indici alla stregua dei quali verificare se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza di provvedere -la “evidente estraneità” della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto legge in cui è inserita (sentenza n. 171 del 2007; in conformità, sentenza n. 128 del 2008).

La giurisprudenza costituzionale collega il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, comma 2, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto legge, sia dal punto di vista oggettivo e materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico (sentenza n. 22 del 2012).

La urgente necessità del provvedere può riguardare anche una pluralità di norme che, tuttavia, risultino accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.

La semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale dunque a trasmettere alla stessa, per ciò solo, il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità.

L’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale.

Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale.

L’art. 15, comma 3, L. n. 400/1988 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» – pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti alla Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nell’art. 77, comma 2, Cost. il quale impone il collegamento dell’intero decreto legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento.

b) La possibile violazione dell’art. 97 Cost.

D’altra parte, anche sotto il profilo del buon andamento, si potrebbero porre dei profili di rilevanza della questione di costituzionalità.

Occorre, infatti, osservare come la minore o maggiore vicinanza dell’ufficio giudiziario competente dalle comunità amministrate attiene ad una organizzazione che, secondo il disposto di cui all’art. 97 Cost., deve garantire il buon andamento anche dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

Se allora il buon andamento viene inteso come necessità di una tendenziale vicinanza fra chi richiede la tutela del giudice e chi è tenuta a prestarla, è evidente che la soppressione delle articolazioni infraregionali di alcuni T.A.R. in tanto è possibile in quanto, dopo un’indagine approfondita ed in concreto, si stimi possibile che un Tribunale, seppur meno vicino, possa comunque efficacemente tutelare le situazioni giuridiche soggettive, senza che l’eccessiva distanza aumenti strumentalmente a dismisura il costo della tutela giurisdizionale e/o spezzi il senso di appartenenza ad una stessa comunità di chi chiede giustizia e di chi è chiamato a somministrarla per compito istituzionale.
c) La possibile violazione dell’art. 125 Cost. e dei principi del diritto europeo

Sotto altro profilo, occorre rilevare che la verifica della compatibilità costituzionale della soppressione delle Sezioni staccate dei Tribunali Amministrativi Regionali conduce alla possibile affermazione della sua illegittimità, anche per contrasto con il principio dell’articolazione territoriale della giustizia amministrativa, di cui all’art. 125 Cost.

Dispone, infatti, l’art. 125 Cost. che: “Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione”.

La nostra Costituzione prevede quindi non solo degli organi di giustizia amministrativa di primo grado strutturati su base regionale, ma anche “sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione”. La soppressione indiscriminata di sedi staccate istituite ormai da molto tempo sembra contrastare con la richiamata disposizione costituzionale, attuata dal legislatore -solo per le Regioni più popolose – al fine di rendere più accessibile e meno costoso a tutti i cittadini l’accesso alla giustizia, oltre che per consentire un più diffuso controllo sull’operato della P.A. e sui suoi possibili abusi.

Sotto tale profilo – e lo si è rilevato da più parti – occorre osservare che seppure è vero che la Costituzione prevede la istituzione delle sedi staccate dei Tribunali Amministrativi come una facoltà e non già come un obbligo, laddove tale facoltà, come nel caso delle sezioni staccate, sia già stata esercitata da molto tempo (sin dagli anni ’70), il legislatore, nel sopprimere in via generalizzata tutte le esistenti sezioni staccate (senza alcuna valutazione casistica), è tenuto ad indicare – pena un insanabile vizio di irragionevolezza – le ragioni per le quali, disattendendo la previsione costituzionale, ha operato una eliminazione netta ed indifferenziata delle sezioni stesse.

Né varrebbe addurre a tal fine generiche esigenze di riduzione della spesa, dato che (come si dirà meglio in seguito) la prevista abolizione non comporterà alcuna apprezzabile diminuzione della spesa pubblica, mentre sicuramente importerà un aggravio di costi per i cittadini che chiedono giustizia.

Ad analoga conclusione inducono i principi di sussidiarietà e prossimità sanciti, anche in tema di tutela giurisdizionale, dal diritto europeo. Si consideri, al riguardo, la raccomandazione del 17 novembre 2010 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nonché la più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in materia di contratti civili e commerciali, che interpreta il principio della prossimità del giudice agli elementi materiali della controversia (si veda, ad es., la sent. Color Drack / Lexx International del 2007 e la sent. Rehder / Air Baltic del 2009). 
I profili di merito: l’assenza di benefici e l’aumento dei costi.

Le sedi distaccate costituiscono un fondamentale presidio di legalità nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione, che tiene conto delle peculiarità dei territori interessati.

Basti pensare alle sedi di Catania, di Lecce, di Pescara e di Reggio Calabria che rendono giustizia con riferimento a circondari vasti, popolosi ed importanti dal punto di vista socio-economico,in modo da evitare che i cittadini siano costretti a recarsi presso il capoluogo, assai distante.

Va rappresentato che tali sedi assorbono una parte rilevante del contenzioso, anche con risultati egregi sul piano dello smaltimento dell’arretrato.

Nelle regioni più popolose, come Lombardia, Campania, Lazio, le sedi distaccate consentono di attenuare le difficoltà dovute alla grande mole del contenzioso assorbita dal TAR del capoluogo di Regione.

Il fenomeno è particolarmente evidente per quel che riguarda il TAR del Lazio, sede di Roma, che è competente per tutto il contenzioso relativo ai provvedimenti della amministrazioni con effetti ‘nazionali’.

V’è il rischio, in questi casi, che l’accorpamento delle sedi distaccate comporti, oltre all’allontanamento della giustizia amministrativa dai territori, una perdita di efficienza rilevantissima nel periodo transitorio, con riferimento ad un sistema di giustizia che, rispetto alla giustizia ordinaria, ha meno personale amministrativo in rapporto a quello di magistratura e che, peraltro, ha conseguito risultati commendevoli negli ultimi anni sul piano della velocizzazione del servizio e dello smaltimento dell’arretrato su base nazionale (dal settembre 2011 al settembre 2013, ad esempio, l’arretrato complessivo dei ricorsi pendenti presso i TAR si è ridotto di circa 160.000 fascicoli pendenti: da oltre 463.000 a poco più di 304.000).

In tutte le sedi staccate (che il decreto legge abolisce), l’arretrato si è ridotto, negli ultimi anni, in percentuali rilevantissime che vanno dal 23% al 64%. Ad esempio, tra le sezioni staccate di maggiori dimensioni, quella di Catania, terzo TAR d’Italia per dimensioni, ha ridotto l’arretrato da 69.500 fascicoli pendenti a 53.161; Reggio Calabria da 11.643 a 4.173; Latina da 7.787 a 4.280; Brescia da 7.370 a 3.980; Lecce da 6.639 a 4.836. Parma e Pescara, poi, hanno ridotto l’arretrato rispettivamente del 21 e del 64%.

La minor presenza sul territorio degli uffici giudiziari, con più specifico riguardo ai casi della giustizia amministrativa, produce, dunque, almeno due ordini di conseguenze:

a) incrementa i costi della tutela giurisdizionale per le spese di trasferta dei patrocinatori che, in considerazione della distanza fra talune delle sezioni staccate sopprimende e la sede centrale, si scaricheranno inevitabilmente sulle amministrazioni (o meglio, la loro stragrande maggioranza: ovvero tutte quelle che non beneficiano del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato) per poter agire o contraddire in giudizio, e che saranno ribaltate sui cittadini, aggravando altresì la posizione debitoria degli enti locali;

b) indebolisce la tutela contro l’illegalità amministrativa, innalzando per le medesime ragioni i costi della tutela anche per i privati cittadini, disincentivandoli – cosa particolarmente grave nell’ambito del processo amministrativo, che non conosce un pubblico ministero promotore di giustizia, come nel giudizio contabile o in quello penale – dall’agire a tutela delle loro proprie ragioni e, strumentalmente ed indirettamente, a presidio dell’interesse pubblico.

In quasi tutti i casi (sicuramente in Sicilia, Calabria, Puglia, Abruzzo, Lombardia), sarebbe necessario reperire una nuova sede per il TAR del capoluogo che, allo stato attuale, non presenta locali idonei ad accogliere il personale, le strutture e gli archivi delle sezioni staccate. Almeno in cinque casi su otto (Brescia, Latina, Salerno, Lecce, Reggio Calabria) ciò comporterebbe la dismissione di sedi demaniali, in favore di sedi verosimilmente di proprietà privata da prendere in locazione, con notevole aggravio dei costi per l’erario dovuto all’urgenza del trasferimento. Attualmente, le rispettive sedi centrali sono ubicate in immobili presi in locazione (a Milano il TAR paga un canone annuo circa di Euro 1.000.000,00, a Bari il TAR paga un canone annuo di poco inferiore a Euro 500.000,00, a Roma il TAR paga circa 5.500.000,00 Euro, a Catanzaro circa 300.000,00 Euro) o in immobili demaniali (Napoli); ma gli uni e l’altro sono appena sufficienti per le esigenze attuali (tranne l’immobile di Roma, che allo stato attuale però non è in grado di assicurare l’ospitalità degli archivi di Latina), sicché la sistemazione da assicurare alle risorse umane e strumentali delle sezioni staccate comporterà la necessaria acquisizione di altri locali e l’esborso di somme che, per le cinque sedi anzidette, non via sarebbe se la soppressione non avvenisse.

Per quanto riguarda L’Aquila, la sede del TAR avrebbe la capienza sufficiente per accogliere il personale e gli uffici della sede di Pescara; in concreto, tuttavia, gli spazi sono occupati da altri uffici pubblici, in quanto i locali di rispettiva pertinenza sono inagibili perché danneggiati dal terremoto (precisamente si tratta delle Commissioni tributarie, della Commissione per gli usi civici e del Giudice di pace).

Per il reperimento di idonei spazi aggiuntivi nelle sedi regionali, il decreto legge non prevede alcuna copertura finanziaria. Si può, quindi, affermare che il decreto legge comporta l’aumento delle spese senza quantificarle e senza indicare i mezzi per farvi fronte, in violazione dell’art. 81 Cost.

Inoltre, la predisposizione dei locali per accogliere strutture, personale ed archivi, in modo che siano conformi alle disposizioni in tema di tutela del lavoro e della sicurezza, è operazione per solito molto onerosa; si pensi, in particolare, alla gestione degli archivi dei fascicoli processuali quanto mai complessa sul piano logistico e della sicurezza (e perciò costosa). A ciò vanno evidentemente aggiunti i costi dei traslochi, relativi a centinaia di postazioni di lavoro (computer e mobili) oltre che a molte migliaia di fascicoli detenuti in archivio.

Il trasferimento del personale poi comporterà, in molti casi, la necessaria corresponsione delle indennità previste dalla legge per i trasferimenti ‘forzosi’ (oltre al grave disagio per il personale, in particolare per quello amministrativo che non viene tenuto in considerazione dalla norma). Tutte le distanze tra le sedi staccate e le sedi capoluogo superano i 50 km.

È appena il caso di notare che il primo testo del decreto prevedrebbe un trasferimento da effettuarsi in appena 15 giorni (un D.P.C.M. del 15 settembre dovrebbe regolare il trasferimento con decorrenza dal 1° ottobre!). In tempi simili, è difficile completare un trasloco per un piccolo ufficio pubblico: è certamente impossibile che una sede di Tribunale si trasferisca in così poco tempo per le ragioni già dette (predisposizione della sede, gestione degli archivi, etc.).

Inoltre, va considerato che la giustizia amministrativa è dotata di un proprio sistema informatico (denominato NSIGA) che collega gli uffici centrali con tutte le sedi attive. La completa dematerializzazione degli atti processuali è in dirittura d’arrivo, poiché si sta procedendo alle verifiche ai fini del collaudo del sistema. Per l’ultimazione del processo è richiesta solo la firma digitale, prevista, d’altronde, dallo stesso decreto legge (art. 38), seppure in una disposizione priva di un apposito stanziamento. In definitiva, la soppressione di sedi comporterebbe la necessità di un adeguamento immediato del sistema informatico, ma tale modifica non potrebbe prescindere da un’apposita progettazione (e quindi da un intervallo temporale, incompatibile con la scadenza del 1° ottobre) e da uno stanziamento di fondi non contemplato dal decreto.

A fronte di tali esternalità negative prodotte dalla eliminazione delle Sezioni staccate, non è stata condotta alcuna attività istruttoria volta a verificare se, e in che misura, il risparmio dei costi gestionali diretti superi quello delle esternalità negative dirette, e quello – certo più difficile da stimarsi, ma comunque devastante – delle esternalità negative indirette, rappresentate dall’aumento delle prassi illegali quale risultato dal consequenziale rarefarsi del controllo giurisdizionale nella gestione della cosa pubblica.

Conclusioni: un’operazione costosa e inutile

A prescindere dalla considerazione della dubbia legittimità costituzionale della soppressione di una sede di Tribunale con la decretazione d’urgenza e dalla pregiudiziale negazione di qualsivoglia confronto, tutto quanto precede dimostra che la soppressione delle sedi staccate è inutile, se non dannosa sul piano:

dei costi (per il necessario reperimento di nuove sedi, per la predisposizione dei locali, per il trasloco, per le indennità da corrispondere al personale);

dell’efficienza (per l’ingolfamento delle sedi più grandi, già in maggiore difficoltà rispetto alle altre);

dell’allontanamento della giustizia dai cittadini (che sarebbero costretti a recarsi presso Tribunali molto distanti dal luogo ove si esercita l’attività);

della mortificazione di territori di notevole rilevanza sul piano demografico, sociale ed economico (le otto sedi distaccate, infatti, sono situate in grandi centri urbani e rendono giustizia con riferimento a territori assai vasti).

Tabelle statistiche con organico e contenzioso

Personale di magistratura e amministrativo:

CATANIA: 17 magistrati (su un organico di 25) e 30 unità di personale amministrativo;

LECCE: 15 magistrati (su un organico di 16) e 22 unità di personale amministrativo;

SALERNO: 11 magistrati (su un organico di 14) e 24 unità di personale amministrativo;

BRESCIA: 7 magistrati (su un organico di 10) e 12 unità di personale amministrativo;

LATINA: 6 magistrati (su un organico di 7) e 15 unità di personale amministrativo;

PESCARA: 4 magistrati (su un organico di 5) e 12 unità di personale amministrativo;

REGGIO CALABRIA: 4 magistrati (su un organico di 7) e 14 unità di personale amministrativo;

PARMA: 3 magistrati (su un organico di 5) e 8 unità di personale amministrativo;

 Situazione del contenzioso:

CATANIA: la Sezione staccata di Catania registra 3.334 ricorsi depositati nel 2013 (a fronte di 3.237 ricorsi depositati presso la sede centrale di Palermo) ed una pendenza pari a 53.161 ricorsi;

LECCE: la Sezione staccata di Lecce registra 2.286 ricorsi depositati nel 2013, (a fronte di 1.728 ricorsi depositati presso la sede centrale di Bari), ed una pendenza pari a 4.836 ricorsi;

SALERNO: la Sezione staccata di Salerno registra 2.431 ricorsi depositati nel 2013 (a fronte di 6.269 depositati presso la sede centrale di Napoli), ed una pendenza pari a 13.546 ricorsi;

BRESCIA: la Sezione staccata di Brescia registra 1.211 ricorsi depositati nel 2013 (a fronte di 3.239 depositati presso la sede centrale di Milano), ed una pendenza pari a 3.983 ricorsi;

LATINA: la Sezione staccata di Latina registra 837 ricorsi depositati nel 2013 (a fronte di 13.208 depositati presso la sede centrale di Roma), ed una pendenza pari a 4.567 ricorsi;

PESCARA: la Sezione staccata di Pescara registra 523 ricorsi depositati nel 2013 (a fronte di 958 depositati presso la sede centrale di L’Aquila), ed una pendenza pari a 492 ricorsi;

REGGIO CALABRIA: la Sezione staccata di Reggio Calabria registra 767 ricorsi depositati nel 2013 (a fronte di 1.789 depositati presso la sede centrale di Catanzaro), ed una pendenza pari a 4.181 ricorsi;

PARMA: la Sezione staccata di Parma registra 373 ricorsi depositati nel 2013 (a fronte di 1.102 depositati presso la sede centrale di Bologna), ed una pendenza pari a 1.052 ricorsi;